Il sistema monetario bizantino. Osservazioni generali

nota „Dollaro del Medioevo“ questo soprannome rende bene il prestigio internazionale e la fiducia che la moneta aurea dell‘ impero bizantino (chiamata in latino solidus e in greco nomisma) godette, ben oltre i confini dello stato, dall’ Europa settentrionale fino all’ India. Alla base di tale fama veramente internazionale è senza dubbio una percentuale d’oro del 90 per cento che si mantenne costante per secoli nota. I motivi iconografici delle monete sono in fondo pochi e si ripetono costantemente: l’imperatore in carica in apparato da cerimonia osservazionigeneralimonetefoto1, a volte affiancato dai figli e coreggenti, un busto di Cristo o una croce elevata oppure, nei secoli V e VI, un angelo, successore della dea Vittoria dell’era pagana nota . Il peso contava circa 4,5 gr(ammi) d´oro, vale a dire la settantaduesima parte di una libbra romana a 325- 327 gr. Poiché il valore di un unico solidus corrispondeva all´incirca all´intero salario mensile di un semplice lavoratore nota , esso era troppo elevato rispetto ai prezzi delle merci di uso quotidiano. Nel commercio minuto si usavano quindi monete di rame, le quali costituivano il secondo pilastro dell´economia monetaria bizantina. Le monete d´oro invece venivano adoperate per importi elevati, ad esempio per il pagamento delle tasse. La relazione fra questi due tipi di monete era regolato dallo stato il quale stabiliva quanti pezzi in rame fossero necessari per cambiare un solidus dai cambiavalute.

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Le monete bizantine nel Museo per l´arte e la cultura bizantinonormanna

Ewald Kislinger Vienna

I 59 pezzi di 34 emissioni (tutti in rame) si estendono cronologicamente dall´imperatore Giustino (518-527) (nr. 2 di vetrina) fino ai cosiddetti folleis anonimi (classi B e C) che furono coniati a Costantinopoli fra il 1030 e il 1050 (nr. 34/1-6). La collezione oltrepassa quindi i limiti cronologici della dominazione bizantina in Sicilia dal 535 (v. le monete di Giustiniano I, nr. 3-6) e – nella zona di San Marco – fino all´inizio del X secolo (v. in proposito introduzione storica e, dal punto di vista numismatico, i tre folleis di Leone VI, 886-912, nr. 32-33). Ciò documenta l´inserimento della Sicilia nella rete commerciale bizantina del Mediterraneo anche al di fuori dei confini dell´impero. Se è da prestar fede all´affermazione della direzione del Museo, che cioè le monete esposte sono reperti locali (benché a tutt´oggi ne manchino le prove), se ne può concludere che la localitá fu ininterrottamente abitata e d ebbe rilevanza economica continua dal VI all XI secolo.

Come che sia, le monete esposte sono certamente di provenienza siciliana, poiché la loro distribuzione quantitativa corrisponde al modello generale rilevabile nell´isola nota. Esso è caratterizzato da una massiccia presenza di emissioni dell´imperatore Eraclio (610-641, nr. 10-15) e Costante II (641-668, nr. 16-19), un abbassamento drastico sullo scorcio dell´VIII secolo e negli anni immediatamente successivi, una ripresa sotto Costantino V (741-775, nr. 24/1-9), seguito da un secondo crollo sotto Leone IV (775-780, nr. 25). A San Marco incontriamo nuovamente monete bizantine di Leone V (813-820, nr. 27/1-2 e nr. 29), Michele II (820- 829, nr. 28/1-2) e il figlio di lui, Teofilo (829-842, nr. 30/1-2). Un unico pezzo soltanto di Michele III foto1monetebizantine(842-867, nr. 31) illustra la debolezza del dominio bizantino alla vigilia della definitiva conquista araba della Sicilia.

Anche le oscillazioni precedenti vanno interpretate come un indizio di processi politico-economici. La difficile situazione dell´impero, ad esempio, dall´ultimo quarto del VII fino al primo quarto dell´VIII secolo, quando Costantinopoli venne assediata due volte dagli Arabi (674-678 e 717/718), i cui raids navali funestarono anche la Sicilia (per la prima volta nel 669 e poi nel 672- 676 , 703-705, 720, 727-730 nota), ebbe indubbiamente conseguenze negative sul commercio (e con ciò sulla circolazione del denaro). Al contrario, il fatto che dal 732 i proventi dei feudi precedentemente papali in Sicilia confluirono interamente nel fisco imperiale, dovette avere esiti favorevoli. Questi nuovi mezzi permisero un´intensa attività edilizia a scopi difensivi („incastellamento“) nota e incrementarono il benessere generale. Contraccolpi tuttavia non mancarono. Soltanto al prezzo di dure lotte il governo centrale riuscì a domare la rivolta del governatore provinciale Elpidio nel 782/783nota: ciò non avrà mancato di avere effetti negativi sulla potenza economica della regione.

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Le monete normanne del Museo

Succedono nota non soltanto cronologicamente alle emissioni bizantine (nr. 1-34) e arabe (nr. 35, qui non trattata), ma si riconnettono ai loro predecessori anche riguardo alle denominazioni e alla scelta die motivi. Nell´economia monetaria si riproduce dunque in piccolo quanto si può constatare nell´arte figurata e nell´architettura: l´equilibrata combinazione di elementi delle due culture, cui vennero aggiunti anche alcuni tratti tipicamente normanni (testa di leone, palma nei nr. 47 e 49; raffigurazioni di cavalieri in emissioni calabresi)monetenormannefoto1mn. I presupposti tecnici per il conio di monete erano forniti da un lato dalle zecche arabe di Sicilia, dall´altro dalla predominante circolazione di monete bizantine in Calabria e Puglia nota , due territori che continuarono ad appartenere all´impero d´Oriente fino al 1060 o al 1071 (caduta di Bari). La ripartizione lì consueta in moneta aurea e moneta di rame viene mantenuta. Il massimo valore è adesso però il quarto di dinar arabo (rubai) di 1,05 gr. con una percentuale d´oro di circa il 68 per cento, chiamato tari. Questo valore, decisamente inferiore rispetto al solidus/nomisma rese il tari più facilmente adoperabile nel commercio. Il follaro di rame (di 3-4 gr.) costituiva l´unità di base; dietro di esso, anche soltanto sul piano liguistico, é chiaramente riconoscibile il modello bizantino. Una riforma monetaria del 1140 introdusse inoltre il Ducalis d´argento (ca. 2,8 gr.), il follaro venne ridotto a 2 gr.; 72 follari corrispondevano a un tari. Guglielmo II operò poi un´ulteriore riforma, diminuendo leggermente il peso del tari, fra le monete di rame un pezzo pesante (forse un sostituto per l´argento che scarseggiava?) di 10-12 gr. venne ad aggiungersi al normale follaro.

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